“Top Gun”: una saga da record

36 anni di attesa per uno dei sequel più annunciati di sempre: il 2022 è stato finalmente l’anno di Top Gun: Maverick, con Tom Cruise di nuovo nel ruolo del pilota Pete Maverick Mitchell, che aveva lanciato la sua carriera in Top Gun (1986). Uno dei periodi di tempo più lunghi tra un film e il suo sequel, che per di più procede sulla stessa trama dell’originale seguendo gli eventi della vita reale.

La sceneggiatura di un seguito era stata già scritta subito dopo il trionfo del primo film, ma il divieto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti di mostrare le più recenti innovazioni nella tecnologia militare impedì la realizzazione del progetto. Nonostante le proposte ricorrenti nei decenni e la strada per il successo praticamente spianata dall’hype sempre più pressante, la produzione di Top Gun: Maverick si è rivelata piuttosto travagliata.

Tom Cruise in Top Gun: Maverick

La Paramount Pictures aveva annunciato un sequel di Top Gun già nel 2010: Tom Cruise e Val Kilmer erano stati contattati per tornare nei rispettivi ruoli, così come il produttore Jerry Bruckheimer e il regista Tony Scott. Una bozza della sceneggiatura era già pronta nel 2012, ma il 19 agosto dello stesso anno Scott si suicidò gettandosi dal Vincent Thomas Bridge di Los Angeles e il progetto venne di nuovo accantonato.

Nel 2017 fu ingaggiato il regista Joseph Kosinski, che scrisse la sceneggiatura definitiva di Top Gun: Maverick. Kosinski aveva già lavorato con Tom Cruise in Oblivion (2013) e non era nuovo a sequel realizzati decenni dopo gli originali, avendo diretto Tron: Legacy (2010), uscito 28 anni dopo Tron (1982), capostipite della saga.

Kosinski sul set di Oblivion

E chissà che rilevanza avrebbe avuto il Tom Iceman Kazansky di Val Kilmer nel progetto originale, ridotto a un cameo nella versione finale, seppur significativo e commovente. Nel 2017 emerse infatti che Kilmer aveva sconfitto dopo due anni un cancro alla gola, sottoponendosi a due tracheotomie che avevano danneggiato le sue corde vocali al punto da non permettergli più di parlare se non per mezzo di un dispositivo elettronico. Nel 2021 la voce di Kilmer venne ricreata da registrazioni d’archivio grazie all’intelligenza artificiale, che consentì di riprodurla in Top Gun: Maverick. E pensare che Kilmer aveva recitato nel primo Top Gun solo perché costretto da obblighi contrattuali, in quello che si sarebbe rivelato uno dei ruoli più iconici della sua carriera…

Val Kilmer e Tom Cruise in Top Gun: Maverick

Capitoli a confronto

In entrambe le pellicole della saga i migliori piloti della Marina Militare statunitense vengono addestrati nella scuola di combattimento Top Gun ma, nonostante i numerosi riferimenti del sequel al suo predecessore, i due film differiscono in modo sostanziale già nella struttura e nell’impronta dei due diversi registi.

Top Gun (1986) è l’esaltazione della sfida per il primato, come la lotta per diventare il maschio dominante in un gruppo: l’azione si basa sugli allenamenti più che su reali imprese belliche, ma il ritmo è mantenuto sapientemente elevato come se i combattimenti aerei (dogfight) fossero vere battaglie per la vita o la morte, grazie anche all’acceso dualismo tra i piloti di punta Maverick (Tom Cruise) e Iceman (Val Kilmer).

Maverick e Iceman in Top Gun

Cercare di dimostrare a ogni costo di essere il miglior pilota ha però un prezzo altissimo e la morte del compagno Goose (Anthony Edwards) segnerà profondamente Maverick, che vivrà per sempre sommerso dai sensi di colpa. Come dichiarato dallo stesso Tom Cruise, Top Gun si discosta dal classico action movie per concentrarsi sul profilo psicologico del protagonista, spaziando nel genere drammatico. In diversi momenti il focus del film si sposta dall’azione alla riflessione, rievocando i fantasmi di Maverick: dalla perdita del padre a quella di Goose, all’incessante bisogno di superare limiti, di infrangere regole, di vivere di solo istinto nell’adrenalina di giocare costantemente con la morte.

Maverick e Goose in Top Gun

Top Gun: Maverick (2022) segue invece più da vicino i canoni del film d’azione. Maverick, ormai divenuto una scomoda leggenda a fine carriera, torna da istruttore alla Top Gun per addestrare dei piloti a una missione quasi suicida: tra questi Rooster (Miles Teller), il figlio di Goose.

Pur mantenendo lo schema del predecessore nelle esercitazioni della parte iniziale, il film è incentrato sull’impresa finale, sulla crescita dei singoli e sulla forza del gruppo. Il turbolento rapporto tra Maverick e Rooster potrebbe sembrare solo un altro modo di rivangare il passato e riallacciarsi al primo film, ma in realtà è il presupposto essenziale per evidenziare l’evoluzione di entrambi i personaggi: i progressi di Rooster nell’acquisire temperamento e sicurezza, la capacità di Maverick di dare fiducia al di là dei tormenti personali.

Rooster (Miles Teller) in Top Gun: Maverick

Come nella maggior parte delle recenti produzioni hollywoodiane, elemento imprescindibile è diventata l’inclusività, spesso forzata al punto da sembrare più una strategia di marketing che la naturale evoluzione nella realizzazione di un film. Considerando che Top Gun: Maverick è il sequel di un film manifesto del machismo patinato di cui inevitabilmente mantiene l’impronta, in questo caso la scelta di introdurre piloti di diverse etnie, tra cui due donne, più che comprensibile è sembrata doverosa.

Phoenix (Monica Barbaro) in Top Gun: Maverick

Non è mai facile per un sequel ripercorrere le orme del predecessore, specialmente di un blockbuster di fama mondiale, ma Top Gun: Maverick ne sfrutta il clamore mediatico senza esserne sommerso, riuscendo a tracciare in autonomia la propria strada.

Entrambi i film fanno parte di una categoria inevitabilmente ritenuta commerciale e spesso snobbata dalla critica, ma la regia di mestiere, l’adeguato mix di azione e introspezione, il ritmo frenetico e la convincente definizione dei personaggi rendono a tutti gli effetti Top Gun una delle saghe più coinvolgenti degli ultimi anni.

Tom Cruise in Top Gun: Maverick

Curiosità sui due film

Top Gun: Maverick è stato presentato nella selezione ufficiale del Festival di Cannes, durante il quale Tom Cruise ha ricevuto a sorpresa la Palma d’oro onoraria.

Tom Cruise premiato a Cannes

Entrambi i capitoli della saga hanno riscosso grandissimo successo al botteghino: Top Gun: Maverick ha già guadagnato oltre 1 miliardo di dollari in tutto il mondo, diventando la pellicola di maggior incasso del 2022 e dell’intera carriera di Tom Cruise (la prima a raggiungere simili cifre), superando proprio il primo Top Gun (già film di maggior incasso del 1986, arrivato a guadagnare 357 milioni di dollari in tutto il mondo).

Tom Cruise in Top Gun

Tom Cruise si dichiarò disponibile a recitare in Top Gun: Maverick a condizione che fossero usati veri velivoli per le riprese aeree e che fosse ridotto al minimo l’utilizzo dei consueti effetti speciali basati su green screen (mediante il quale si può sostituire il colore di uno sfondo con qualsiasi altra immagine) o CGI (Computer-Generated Imagery): perfino i primi piani nella cabina di pilotaggio sono stati realizzati durante reali sequenze di volo e ciò ha costretto gran parte del cast a sottoporsi a lunghe sessioni di allenamento.

Prima di Top Gun (1986), Tom Cruise non aveva mai guidato nemmeno una motocicletta (imparò nel parcheggio della House of Motorcycles a El Cajon, in California): ora, a 60 anni (compiuti oggi), non usa praticamente mai gli stuntman ed esegue da solo anche le scene più estreme.

Tom Cruise in Top Gun

In Top Gun (1986), l’unico attore a non vomitare durante le riprese negli aerei da combattimento fu Anthony Edwards (Goose), il cui personaggio è l’unico a morire.

Anthony Edwards (Goose) in Top Gun

Miles Teller scelse il nome di battaglia Rooster (Gallo) per il proprio personaggio perché apparteneva alla stessa famiglia di quello di suo padre nel primo film, Goose (Oca). Top Gun: Maverick potrebbe aver risollevato la sua carriera, che dopo lo strepitoso successo di Whiplash (2014) sembrava essere già in forte declino, complici ruoli sbagliati e dichiarazioni pubbliche sopra le righe: Teller era infatti reduce da una serie di flop commerciali e di critica e da alcune spiacevoli interviste, in cui si era mostrato come una persona sgradevole e volgare, che avevano fatto crollare la sua popolarità.

Miles Teller in Top Gun: Maverick

La convincente interpretazione e l’incredibile trasformazione fisica per il Rooster di Top Gun: Maverick hanno sorpreso perfino alcuni colleghi: la somiglianza per nulla scontata con Anthony Edwards, suo padre in Top Gun, viene ricreata in modo impressionante nella scena in cui Teller suona al piano e canta Great Balls of Fire di Jerry Lee Lewis, come Edwards nel primo film. Una scena che in Top Gun non era nemmeno prevista: fu il regista Tony Scott ad aggiungerla all’ultimo perché stava ascoltando la canzone quella mattina…

Miles Teller in Top Gun: Maverick

Il personaggio interpretato da Jennifer Connelly in Top Gun: Maverick, Penny Benjamin, non compare nel primo Top Gun, ma viene menzionata più volte come una ragazza (la figlia dell’ammiraglio) con cui Maverick ha avuto una storia e su cui ha effettuato uno dei suoi vietatissimi voli radenti alle torri di controllo. In Top Gun (1986) viene anche riferito che Penny ha 16 anni, quindi in Top Gun: Maverick (2022) dovrebbe averne più o meno 51: Jennifer Connelly ha esattamente 51 anni.

Il titolo della celebre serie di videogiochi motoristici Need for Speed è tratto dalla frase “I feel the need… the need for speed!” detta da Maverick a Goose in una scena di Top Gun (1986), andata persa nel doppiaggio italiano e sostituita con: “Ma noi saremo sempre i più forti!”.

Tom Cruise e Jennifer Connelly in Top Gun: Maverick

La partita di beach football in Top Gun: Maverick è un dichiarato omaggio alla famosissima partita di beach volley di Top Gun, diventata una delle scene più iconiche del film, alla quale il regista Tony Scott aveva inaspettatamente dedicato un’intera giornata di riprese, rischiando di essere licenziato.

Beach football in Top Gun: Maverick

La tensione tra Maverick e Iceman nel primo Top Gun non fu solo recitazione: per restare nei personaggi, Tom Cruise e Val Kilmer si tennero a distanza per l’intera durata delle riprese e non socializzarono mai. Tom Cruise e Anthony Edwards alloggiarono addirittura in una struttura diversa da quella di tutti gli altri attori interpreti dei piloti, per restare separati dal gruppo. Negli anni, comunque, come dichiarato più volte da entrambi, i due sono diventati grandi amici e la serenità del loro attuale rapporto ha senza dubbio contribuito a rendere ancora più emozionanti le scene condivise in Top Gun: Maverick.

Kilmer e Cruise in Top Gun

Anche le riprese del primo film furono funestate da un tragico episodio, e se Top Gun: Maverick è stato dedicato alla memoria del regista Tony Scott, Top Gun fu dedicato ad Art Scholl, famoso pilota acrobatico e stuntman morto il 16 settembre 1985 precipitando nell’Oceano Pacifico al largo della costa meridionale della California nel tentativo di filmare un avvitamento piatto dal suo velivolo: né il corpo né l’aereo vennero mai ritrovati.

Un contributo essenziale al successo mondiale di Top Gun (1986) fu dato dalla strepitosa colonna sonora, comprendente canzoni divenute immortali come Danger Zone di Kenny Loggins e soprattutto Take My Breath Away, scritta da Tom Whitlock e prodotta da Giorgio Moroder per i Berlin, vincitrice dell’Oscar e del Golden Globe per la miglior canzone originale.

BerlinTake My Breath Away

Si trattò della terza statuetta per l’italiano Giorgio Moroder, uno dei musicisti più innovativi e influenti nell’ambito della musica elettronica e della disco music, già premiato nel 1979 per la miglior colonna sonora di Fuga di mezzanotte e nel 1984 ancora per la miglior canzone originale con Flashdance… What a Feeling.

Giorgio Moroder

Per i Berlin, gruppo musicale new wave statunitense, Take My Breath Away rappresentò allo stesso tempo il culmine della fama e l’inizio della fine: la band si sciolse infatti già nel 1987 per divergenze tra la front woman Terri Nunn e il fondatore del gruppo John Crawford, risentito del fatto che i Berlin avessero raggiunto il successo grazie a una canzone che non avevano scritto loro, non avevano mai sentito e non c’entrava niente con loro.

Berlin

U-Boot 96 (Wolfgang Petersen, 1981)

Eine Reise ans Ende des Verstandes”
“Un viaggio ai limiti della mente umana”

(Tagline del film)

U-Boot 96 (Das Boot) è un film di guerra tedesco del 1981 scritto e diretto da Wolfgang Petersen e interpretato da Jürgen Prochnow, Herbert Grönemeyer e Klaus Wennemann.

La pellicola è incentrata sull’U-96, un sommergibile della Marina militare tedesca (Kriegsmarine) in servizio durante la Seconda Guerra Mondiale (U-Boot è l’abbreviazione di Unterseeboot, letteralmente battello sottomarino) ed è tratta dall’omonimo romanzo di Lothar-Günther Buchheim Das Boot, pubblicato nel 1973 ed edito in Italia come U-Boot.

L’U-96 in una scena del film

La narrazione è immaginaria, ma si basa su episodi realmente accaduti al vero U-96: Buchheim, autore del romanzo, era salito a bordo del sommergibile nel 1941 come corrispondente di guerra per fotografare e descrivere un U-Boot in azione per scopi di propaganda; Heinrich Lehmann-Willenbrock, comandante dell’U-96 e sesto comandante tedesco per tonnellaggio nemico affondato (179125 tonnellate) nella Battaglia dell’Atlantico contro gli Alleati, fece da consulente alla regia insieme a Hans-Joachim Krug, comandante in seconda dell’U-219.

Il vero U-96 e il comandante Lehmann-Willenbrock

Nell’ottobre 1941, il tenente Werner si imbarca a La Rochelle come corrispondente di guerra a bordo del sommergibile tedesco U-96, in procinto di salpare per l’Atlantico a caccia di navi nemiche. L’U-96 ha come ufficiali più alti in grado l’autorevole comandante, soprannominato Der Alte (Il vecchio), e il valente direttore di macchina.

Werner entra rapidamente a contatto con le dure condizioni di vita all’interno del sommergibile, segnate da snervanti attese, sporcizia e promiscuità, che minano costantemente il morale dell’equipaggio.

Il comandante e il tenente Werner in una scena del film

Dopo giorni di navigazione viene segnalata la presenza di un convoglio Alleato e il comandante si lancia all’attacco, ma una fitta nebbia ribalta inaspettatamente lo scenario: l’U-96 viene individuato e bombardato da un cacciatorpediniere (una nave da guerra progettata appositamente per attaccare i sommergibili, equipaggiata con sonar e cariche di profondità) e da cacciatore diventa preda, riuscendo comunque ad allontanarsi.

La disillusione del comandante, diffidente riguardo all’attendibilità degli ordini ricevuti, trova conferma quando l’U-96 si imbatte in un’unità amica: un incontro così improbabile nell’immensità dell’oceano induce a sospettare che uno dei due sommergibili sia stato inviato nel posto sbagliato, palese testimonianza della superficialità dell’Alto Comando sui reali obiettivi delle missioni.

Una notte l’U-96 avvista un convoglio nemico e attacca lanciando tre siluri, nonostante il chiarore della Luna lo renda facilmente distinguibile: i siluri raggiungono i bersagli, ma il sommergibile viene individuato da un caccia di scorta alle navi e bombardato per ore, riuscendo miracolosamente a salvarsi.

Una scena del film

Quando il rientro sembra ormai imminente, un inatteso ordine impone al sommergibile un ultimo incarico, che si rivela essere una missione suicida: dirigersi verso la base di La Spezia passando attraverso lo stretto di Gibilterra presidiato dalla flotta britannica.

Durante l’insidiosa traversata, l’U-96 viene centrato da una bomba e tenta la fuga immergendosi rapidamente: il colpo ricevuto ha però danneggiato gli strumenti per regolare l’immersione e l’assetto del sommergibile, che continua a scendere senza più controllo.

Raggiunta la profondità di 270 metri, ben oltre il livello di tenuta del natante, un banco di sabbia arresta la mortale discesa: la pressione dell’acqua, tuttavia, fa cedere rivetti e parte della tubolatura, provocando l’apertura di falle e di vie d’acqua che inondano rapidamente il sommergibile.

Una scena del film

In una corsa contro il tempo, con sempre meno ossigeno e forze residue, l’equipaggio riesce strenuamente a chiudere le falle e, grazie all’ingegno del direttore di macchina, a riparare gli impianti danneggiati, rimettendo il sommergibile in condizione di emergere: dopo oltre 24 ore e senza quasi più ossigeno, l’U-96 riesce a tornare in superficie.

Il comandante rinuncia ad attraversare lo stretto e dà ordine di rientrare alla base, ma il destino sarà implacabile.

Il direttore di macchina (Wennemann), il comandante (Prochnow) e il tenente Werner (Grönemeyer) in una scena del film

Un film di guerra antimilitarista, un film tedesco antinazista

A parte il primo guardiamarina, giovane ufficiale e fervente nazista, l’equipaggio dell’U-96 è apolitico o, come nel caso del comandante, apertamente antinazista. Lo storico Michael Gannon conferma che nel 1941, anno in cui è ambientato il film, gli U-Boot erano uno dei rami meno filo-nazisti nelle forze armate tedesche. Nel suo libro Iron Coffins (Bare di ferro), l’ex comandante di U-Boot Herbert A. Werner sottolinea che la selezione del personale navale in base alla lealtà al partito durante la guerra avvenne solo dal 1943 in poi, quando gli U-Boot stavano subendo ingenti perdite, il morale dei soldati era ai minimi termini e iniziava a serpeggiare un crescente scetticismo verso il Führer e l’Alto Comando.

Una scena del film

L’originalità di U-Boot 96 è spiazzante fin dal soggetto: la vita all’interno di un sommergibile durante la Seconda Guerra Mondiale raccontata dal punto di vista dei soldati tedeschi, mostrati per la prima volta come esseri umani dotati di sentimenti e ingegno e non come fanatici sanguinari. Una prospettiva del tutto nuova per l’epoca: in un’industria cinematografica dominata dal colosso statunitense, la pellicola di produzione tedesca stravolse i canoni del cinema di guerra. Un’impresa titanica ed estremamente rischiosa, che richiese una maniacale attenzione ai particolari: la minima ambiguità avrebbe facilmente attirato accuse di revisionismo.

I protagonisti non vengono dipinti come eroi: sono semplicemente soldati chiamati ad affrontare paure e insidie in un contesto così estremo e claustrofobico, dove all’angosciosa frenesia delle battaglie fanno da contraltare i lunghi periodi di inattività. È questa la vera forza del film: la costante tensione e il notevole realismo catapultano lo spettatore a bordo e generano una potentissima empatia verso i personaggi, arrivando a rendere imprevedibile un epilogo in fondo annunciato.

Una scena del film

Curiosità

La realizzazione del film durò due anni, dal 1979 al 1981. Le scene all’interno del sommergibile furono girate tutte di seguito, per rendere l’aspetto degli attori il più realistico possibile: il caratteristico pallore di chi ha vissuto al chiuso per lunghi periodi, la barba e i capelli incolti, i vestiti sporchi e sdruciti. Agli attori fu inoltre impartita una formazione sul campo per imparare a muoversi rapidamente negli angusti spazi del sommergibile, senza inciampare o scontrarsi con i compagni, così da limitare al massimo incidenti ed eventuali interruzioni.

Gli ufficiali dell’U-Boot 96 in una scena del film

Non disponendo la produzione delle attrezzature all’avanguardia usate dal cinema hollywoodiano, nelle scene in cui i personaggi dovevano essere bagnati l’acqua non era riscaldata e gli attori tremavano realmente per il freddo.

Ogni dettaglio, dalle divise alle apparecchiature, dalle armi alle suppellettili, è storicamente accurato. Per riprodurre l’U-96 furono realizzati due modelli a grandezza naturale di un vero U-Boot Tipo VII-C: un sommergibile motorizzato e vuoto per gli esterni in mare e un tubo provvisto di tutti gli interni; quest’ultimo era montato su un simulatore di navigazione azionato da attuatori idraulici in modo da ricreare rollio e beccheggio, insieme agli scossoni prodotti dalle bombe di profondità.

Interni del modello: tavolo del timoniere (in alto a sinistra), camera di manovra (in alto a destra), sala siluri (in basso a destra), sala macchine (in basso a sinistra)

Il modello usato per le scene in emersione venne prestato a Steven Spielberg per I predatori dell’arca perduta, le cui riprese erano iniziate in quel periodo, e fu restituito in pessime condizioni, tanto da allarmare la produzione sulla sua effettiva capacità di galleggiare nelle ultime scene ancora da girare.

Un modello della torretta del vero U-96 con il celebre logo del pesce sega ghignante fu realizzato per gli esterni che non richiedevano la ripresa dell’intero scafo. La torretta fu posizionata in una piscina nei Bavaria Studios di Monaco: per simulare le onde venivano lanciati getti d’acqua.

In alto, l’U-995 (un U-Boot Tipo VII-C) in esposizione al Memoriale navale di Laboe; in basso il modello della torretta esposto ai Bavaria Studios di Monaco

U-Boot 96 fu la prima parte di rilievo per l’attore Jürgen Prochnow (il comandante), che da quel momento divenne uno dei caratteristi più richiesti a livello internazionale (Dune, Un’arida stagione bianca, Robin Hood – La leggenda, Il paziente inglese), recitando spesso in ruoli di villain autoritari, crudeli e sadici.

Jürgen Prochnow in U-Boot 96

Herbert Grönemeyer (il tenente Werner) è uno dei più popolari cantautori tedeschi: dal 1984 tutti i suoi album si sono posizionati al primo posto nelle classifiche nazionali e i suoi album Mensch e 4630 Bochum sono ancora oggi il primo e il terzo album più venduti di sempre in Germania.

Herbert Grönemeyer in U-Boot 96

Nel 1997 la pellicola è stata distribuita in una versione Director’s cut di 209 minuti che, rispetto alla versione cinematografica del 1981 (149 minuti), risulta essere molto più completa senza appesantire la narrazione. Poiché l’audio originale era andato perduto, furono richiamati gli attori originali che, dopo sedici anni, ridoppiarono l’intera pellicola. In modo simile fu ricreata l’imponente colonna sonora, a partire dalla registrazione originale conservata dal compositore Klaus Doldinger: l’audio su più canali consentì la distribuzione del film in Dolby Digital.

U-Boot 96 è considerato uno dei migliori film di guerra mai realizzati: un thriller mozzafiato dal realismo quasi documentaristico, intelligente e anticonformista. Acclamato dalla critica, ottenne 6 nomination ai premi Oscar (regia, sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio, sonoro e montaggio sonoro), attuale record per una pellicola tedesca, ma non riuscì a conquistare neppure una statuetta. Il film ebbe inoltre uno straordinario successo di pubblico, specialmente in Germania e negli Stati Uniti: a fronte di un budget iniziale di 32 milioni di marchi (tuttora una delle produzioni tedesche più costose di sempre), incassò quasi 85 milioni di dollari in tutto il mondo. Due anni dopo, un’altra pellicola diretta da Wolfgang Petersen avrebbe raggiunto i 100 milioni di dollari di incassi: La storia infinita, il film tedesco più costoso del dopoguerra (60 milioni di marchi).

Sul set di U-Boot 96 (da destra a sinistra): l’attore Jürgen Prochnow, il regista Wolfgang Petersen, l’autore del romanzo Lothar-Günther Buchheim e il direttore della fotografia Jost Vacano

I guerrieri della notte (Walter Hill, 1979)

I guerrieri della notte (The Warriors) è un film del 1979 diretto da Walter Hill e tratto dall’omonimo romanzo di Sol Yurick.

La sera del 13 luglio 1979 tutte le più importanti bande giovanili di New York vengono invitate a un raduno nel Bronx organizzato da Cyrus, carismatico leader dei Riffs, la più grande e potente gang della città. Viene quindi proclamata una tregua tra le bande, ognuna delle quali può partecipare al raduno con una delegazione disarmata di nove membri.

Cyrus (Roger Hill)

Cyrus propone di unire tutte le forze disponibili per assumere il controllo di ogni quartiere, sfruttando la preponderanza numerica sulla polizia, ma viene assassinato da Luther, psicopatico capo dei Rogues. Luther viene visto da uno dei Guerrieri (Warriors), una banda di Coney Island, e nella confusione che si genera fa ricadere la colpa sul loro leader, Cleon, che viene aggredito e probabilmente ucciso per ritorsione.

Senza il loro capo, gli otto Guerrieri rimasti (Swan, Ajax, Vermin, Cochise, Fox, Rembrandt, Snow e Cowboy) devono riattraversare la metropoli di notte fino a casa, dal Bronx (nord di Manhattan) a Coney Island (sud di Brooklyn), braccati da tutte le altre gang e inseguiti dalla polizia.

I Guerrieri (The Warriors)

Secondo il Morandini: “La dinamica geometria della loro attraversata assomiglia a quella di una partita di baseball dove i treni della metropolitana sono le basi. Superbo frutto dell’iperrealismo, è un film fantastico che ha la tensione visionaria di un incubo da droga, la struttura narrativa di un film di guerra e le cadenze, l’artificiosità di un cartoon, l’eleganza grafica e la coreografia di un musical.”

I Guerrieri (The Warriors)

All’uscita del film, nel 1979, New York era nel pieno di una grave crisi economica, profondamente segnata da disoccupazione, povertà e crimine. I massicci licenziamenti tra le forze dell’ordine generarono un’ondata di violenza e degrado nell’intera metropoli che trasformò le periferie in scenari apocalittici. Molti turisti furono accolti all’aeroporto con macabri volantini distribuiti da ex poliziotti disoccupati in aperta polemica con il governo, che consigliavano loro di non uscire di sera e di evitare la metropolitana e i quartieri malfamati.

Uno dei volantini distribuiti ai turisti

Questo clima di paura e rabbia influenzò notevolmente il cinema, che si spinse sempre più verso il crudo realismo, specchio di una società sordida e malsana, producendo pellicole che spesso non venivano comprese fino in fondo, né tantomeno accettate.

I guerrieri della notte venne massacrato dalla critica: Roger Ebert lo definì “un balletto di violenza maschile stilizzata”, un’opera manieristica con personaggi e dialoghi poco credibili ben lontana dal film d’azione tanto reclamizzato dagli slogan promozionali. Le recensioni negative non impedirono tuttavia al film di piazzarsi in cima alla top ten dei film più visti, incassando 3,5 milioni di dollari solo nel primo week-end.

I Guerrieri (The Warriors)

L’originale punto di vista sulle bande di strada fu oggetto delle critiche più feroci, ma secondo il regista Walter Hill fu anche uno dei principali motivi dello straordinario successo del film: “Per la prima volta qualcuno aveva fatto un film all’interno di Hollywood, della grande distribuzione, che parlava della situazione delle gang senza presentarla come un problema sociale, ma presentando aspetti neutrali o positivi nelle vite dei membri.”

Vermin, Cochise e Ajax in una scena del film

Dopo l’incredibile impatto mediatico iniziarono però a verificarsi incidenti in diverse sale in cui il film fu proiettato, tra cui atti vandalici e aggressioni, che causarono tre vittime: la pellicola sembrava inoltre attirare veri membri di gang rivali.

La casa produttrice decise di ridimensionare la promozione del film, si offrì di contribuire alle spese per potenziare la sicurezza di alcune sale e sollevò i cinema dagli obblighi contrattuali, lasciandoli liberi di non proiettare più la pellicola.

Il manifesto originale del film, accusato di enfatizzare la violenza delle bande di strada, fu ritirato per non intimorire il pubblico.

Il manifesto originale del film

Benché non ci sia spargimento di sangue né visibili conseguenze fisiche anche negli scontri più duri, I guerrieri della notte subì una severissima campagna contro la violenza al cinema, che non gli impedì tuttavia di incassare oltre 22 milioni di dollari, triplicando il budget speso per realizzarlo.

In breve tempo, il film è diventato un cult assoluto, autentica e coinvolgente testimonianza di una New York che non c’è più.

La ruota panoramica di Coney Island, uno dei simboli del film

L’Antica Grecia
Il romanzo da cui è tratto il film si ispira all’Anabasi, opera autobiografica dello storico greco Senofonte risalente al IV secolo a.C.
L’Anabasi narra della ritirata attraverso l’Impero persiano dei Diecimila, un’armata di mercenari ellenici di cui faceva parte lo stesso Senofonte.

Busto di Senofonte
(Bibliotheca Alexandrina)

I Diecimila erano stati assoldati da Ciro il Giovane (da cui prende il nome Cyrus, potente e rispettato leader dei Riffs di Gramercy Park) nel tentativo di usurpare il trono di Persia al fratello Artaserse II: la morte di Dario (404 a.C.), re di Persia e d’Egitto, aveva infatti scatenato la fratricida lotta di successione tra i due figli.

Durante la battaglia di Cunassa, nonostante la vittoria dei mercenari sul campo, Ciro il Giovane rimase ucciso e la sua morte privò di ogni senso la loro spedizione. Rimasti soli in pieno territorio nemico, i Greci decisero così di rientrare in patria, in un ripiegamento che si annunciava lunghissimo (circa 2800 km) e pieno di insidie.

I Diecimila durante la battaglia di Cunassa
(Jean-Adrien Guignet, Museo del Louvre)

I Diecimila rifiutarono di consegnare le armi al nemico, sostenendo che tale disonore non spettasse ai vincitori (nel film, i Guerrieri decidono con orgoglio di non abbandonare le proprie uniformi).

Fu allora proposta una tregua e venne proclamata la pace, ma il reale e vile intento dei Persiani era di eliminare i mercenari con ogni mezzo. Il satrapo Tissaferne, con cui essi avevano stipulato gli accordi, tentò quindi di provocarli più volte con l’inganno per giustificare un attacco contro di loro.

Il generale greco Clearco di Sparta, insieme ad alcuni suoi ufficiali, decise allora di dirimere le controversie andando a parlare con il satrapo nel suo accampamento: Tissaferne, dopo averli accolti amichevolmente, li fece catturare e uccidere tutti.

I Greci non si persero d’animo ed elessero dei nuovi capi, tra cui lo stesso Senofonte, riprendendo immediatamente la lunga ed estenuante ritirata, costantemente inseguiti e attaccati dai Persiani.

Dopo un anno e tre mesi (dal 401 al 399 a.C.) essi raggiunsero finalmente la costa del Mar Nero presso Trapezunte (Trebisonda): dalla sommità del monte Teche rividero per la prima volta il mare e accolsero l’ormai certa salvezza al celebre grido “Thálassa! Thálassa!” (“Mare! Mare!”).

Thálassa! Thálassa! (Mare! Mare!)
(Bernard Granville Baker)

Nel film, i Guerrieri devono compiere un’impresa analoga a quella dei Diecimila, costretti ad attraversare un territorio ostile basandosi solo sulle proprie forze, incalzati dalla polizia e dalle gang rivali.

Il loro fondatore e leader, Cleon (interpretato da Dorsey Wright), viene aggredito a tradimento e forse ucciso: il suo nome potrebbe sembrare un riferimento allo stratego ateniese Cleone, protagonista della Guerra del Peloponneso, ma il personaggio ricalca proprio il generale dei Diecimila Clearco, descritto nell’opera senofontiana come un comandante ideale, lucido nei momenti più difficili, severo e rispettato da tutti.

Cleon (Dorsey Wright)

Dopo la sua scomparsa, i Guerrieri eleggono Swan come loro capo e affrontano il difficile viaggio di ritorno a casa. Anche per loro, come per i Greci, la salvezza coinciderà con il raggiungimento del mare (la spiaggia di Coney Island): “When we see the ocean, we figure we’re home, we’re safe!” afferma Swan in una scena del film, citazione completamente stravolta dal doppiaggio italiano (“Coney Island è il nostro territorio e nessuno vi ha invitato, andatevene!”).

Il regista Walter Hill si è ispirato all’Anabasi anche per il film I guerrieri della palude silenziosa (Southern Comfort, 1981), in cui ripropone uno dei suoi schemi chiave: il leader del gruppo viene eliminato subito, costringendo gli altri a cavarsela da soli senza una figura di riferimento.

Keith Carradine e Powers Boothe ne I guerrieri della palude silenziosa

I guerrieri della notte contiene numerosi riferimenti ai miti greci e ai poemi omerici. Il più importante rimanda all’Odissea e coincide con il tema centrale del film: il viaggio di ritorno a casa.

Un’altra esplicita citazione del poema omerico è rappresentata dalle Lizzies, la gang tutta femminile che attende Vermin, Cochise e Rembrandt alla stazione di Union Square e li seduce nel tentativo di farli cadere in trappola ed ucciderli: una versione molto originale delle sirene.

Le Lizzies

Ajax, impulsivo e ribelle, aggressivo e violento, è il miglior combattente dei Guerrieri, esplicito riferimento all’eroe greco Aiace Telamonio cantato da Omero nell’Iliade. Ma l’accezione fortemente negativa del personaggio non può di certo ispirarsi al più valoroso condottiero acheo, secondo solo al cugino Achille ed emblema delle più alte virtù guerriere come forza, onore, coraggio, rispetto dei nemici, impegno e perseveranza.

Ajax (James Remar)

Un altro Aiace, anche lui protagonista del poema omerico, sembra piuttosto incarnare le peggiori attitudini del Guerriero: Aiace Oileo.

"Aiace, il migliore a far liti, senza buon senso, tu in tutto
resti inferiore agli Argivi, perché hai testa dura."
(Idomeneo, re di Creta. Omero, Iliade, libro XXIII, versi 483-484)

Celebre in tutta la Grecia per le abilità nel tiro con l’arco e nella corsa, ma anche per la sua rozzezza ed arroganza, Aiace Oileo fu tra i più valorosi guerrieri achei che combatterono a Troia, ma in battaglia si distinse soprattutto per l’efferata crudeltà e per la totale mancanza di pietà nei confronti del nemico. Durante la notte della presa di Troia usò violenza alla profetessa Cassandra profanando il tempio di Atena e scatenando quindi l’ira della dea, che punì tutti gli achei rendendo travagliato il loro ritorno in patria.

Nell’Odissea viene rivelato il suo tragico destino: nel tragitto verso casa, una tempesta fece affondare la sua nave. Poseidone lo salvò facendolo naufragare su uno scoglio, ma Aiace sfidò con arroganza gli dèi ad ucciderlo, gridando di essersi salvato solo grazie alle proprie forze: irato, il dio del mare affondò lo scoglio, facendolo annegare.

Ne I guerrieri della notte, Ajax pretende di essere nominato nuovo capo dopo la scomparsa di Cleon, ma è costretto ad accettare controvoglia la decisione del gruppo, che gli preferisce Swan; i suoi tentativi di molestie verso una donna, che si rivelerà poi una poliziotta in borghese, gli costeranno cari.

Per il ruolo di Ajax fu scelto James Remar: durante il provino, l’attore entrò talmente nella parte da sollevare il tavolo dietro cui erano seduti regista e produttori.

Ajax (James Remar)

Swan è il capoguerra: prende il comando dei Guerrieri dopo la morte di Cleon e li guida nel difficile ritorno a casa dimostrando orgoglio, lucidità e prontezza di riflessi. È a lui che, lungo il cammino, si unisce Mercy (Deborah Van Valkenburgh), che condivide la sua insofferenza alla vita di strada e la sua voglia di riscatto.

Il nome Swan (Cigno) trae probabilmente origine dal mito greco della nascita di Elena: la donna fatale fu generata dall’unione tra Leda, regina di Sparta, e Zeus, che aveva assunto la forma di un cigno. La scelta di Michael Beck per il ruolo di Swan fu del tutto casuale: il regista Walter Hill rimase impressionato dalla sua performance nel film Madman mentre stava valutando Sigourney Weaver per la parte della protagonista in Alien, pellicola di cui era co-produttore.

Swan (Michael Beck)

Le curiosità
Per il raduno delle gang nel Bronx all’inizio del film, il regista Walter Hill volle degli autentici membri di bande di strada tra la folla, controllati da poliziotti in borghese. Durante la scena nel cimitero di Brooklyn, per tenere al sicuro gli attori, la location venne chiusa con una recinzione. Alcuni collaboratori alla produzione ricevettero minacce di morte per via dell’esclusione di membri di gang locali nel cast: molti di questi arrivarono a sfidare gli attori a battersi, ma furono respinti dalla security.

Per proteggere i furgoni della produzione da eventuali furti e vandalismi vennero assoldati dei veri criminali, i membri di una banda chiamata Mongrels, a 500 dollari al giorno: ciò nonostante, durante una pausa una gang distrusse migliaia di dollari di attrezzatura.

Una delle gang rappresentate nel film aveva un look molto simile a quello di una vera banda di Coney Island dal nome ben poco rassicurante: The Homicides. Per l’incolumità del cast, la produzione vietò di andare in giro indossando gli abiti di scena, ma non tutti furono così rigorosi: le comparse interpreti dei Turnbull AC’s, temutissimi skinhead di Gun Hill (Bronx) che girano per la città a bordo di un furgone, si recavano in un fast food durante la pausa pranzo senza avere il tempo di togliersi i costumi. La loro presenza intimorì i gestori e terrorizzò i clienti del locale, convinti che si trattasse di una vera gang, fino a quando non si seppe che erano in corso le riprese del film.

I Turnbull AC’s

I Baseball Furies, la gang di Riverside Park dal volto dipinto equipaggiata con uniformi e mazze da baseball, sono un omaggio del regista alla propria passione per il baseball e per i Kiss, gruppo rock noto anche per il caratteristico make-up. I Baseball Furies si ispirano a una vera gang degli Anni ’70 legata al baseball, i Second Base. Nel film, questo riferimento è citato dalla speaker Dolly Bomba che aggiorna le altre bande sulla posizione dei Guerrieri: “I nostri amici sono in seconda base” è la delusa e provocatoria segnalazione del loro vittorioso scontro con i Baseball Furies.

Uno dei Baseball Furies

La famosa battuta “Warriors… come out to play!” (resa nel doppiaggio italiano con un improbabile: “Guerrieri… giochiamo a fare la guerra?”) cantilenata da Luther, il violento e disturbato capo dei Rogues di Hell’s Kitchen, fu improvvisata dall’attore David Patrick Kelly prendendo spunto dalle provocazioni subite da un vicino di casa quando era bambino.

Luther (David Patrick Kelly)

Le riprese furono piuttosto traumatiche per Deborah Van Valkenburgh, interprete di Mercy. Nella scena in cui lei e Fox (Thomas G. Waites) corrono inseguiti dai poliziotti all’interno della metropolitana, l’attrice si fratturò un polso. Da quel momento il suo personaggio compare con indosso un giubbotto, spiegando che serve a non farsi riconoscere dalla polizia: in realtà, fu utilizzato per coprire la fasciatura. In uno dei ciak della scena in cui Swan (Michael Beck) lancia una mazza da baseball verso un poliziotto, la Van Valkenburgh venne centrata in pieno viso e dovettero applicarle dei punti di sutura.

Mercy con il giubbotto e Swan mentre lancia la mazza da baseball

La prima sceneggiatura prevedeva una relazione sentimentale tra Mercy (Deborah Van Valkenburgh) e Fox (Thomas G. Waites), ma il regista Walter Hill si accorse presto che sul set Mercy aveva molta più intesa con Swan (Michael Beck): il copione fu dunque riscritto in modo da farli innamorare. Waites, che interpretava Fox, ebbe una violenta discussione con Hill per il cambio di programma: il suo personaggio venne fatto morire, lui fu licenziato dopo sole otto settimane di riprese e il suo nome non fu nemmeno inserito nei titoli di coda.

Mercy con Fox e Swan

Il titolo italiano I guerrieri della notte non rende giustizia all’originale The Warriors: sembrerebbe solo l’ennesimo azzardato tentativo di italianizzare per produrre fascino ed effetto a tutti i costi, in cui il bisogno di ulteriore creatività risulta forzato e ridondante. In realtà, a parziale giustificazione della decisione, non si poté procedere ad una semplice traduzione dall’originale poiché una scelta simile era stata fatta circa dieci anni prima per Kelly’s Heroes, film del 1970 diretto da Brian G. Hutton, il cui titolo italiano è proprio: I guerrieri.

Donald Sutherland, Clint Eastwood e Telly Savalas ne I guerrieri

La versione Director’s Cut, uscita nel 2005, introduce un elemento davvero notevole a livello visivo: i diversi capitoli del film vengono introdotti come pagine di fumetti. Walter Hill dovette a suo tempo rinunciarvi per motivi di budget. L’introduzione del Director’s Cut cita espressamente la battaglia di Cunassa e la storia dei Diecimila: come voce narrante, Hill avrebbe voluto Orson Welles.

Alcuni dei fumetti presenti nel Director’s Cut