“Nata libera”: quando il cinema iniziò a parlare dei diritti degli animali

A volte un film aiuta ad aprire una finestra su vicende sconosciute, a volte fa scoccare una scintilla in chi non aspettava altro, innescando meccanismi imprevedibili: la magia del cinema è che può accadere anche con un basso budget e poche pretese di celebrità. Nata libera (Born Free), film del 1966 diretto da James Hill e interpretato da Virginia McKenna e Bill Travers, è riuscito a riunire da solo tutto questo in nome di un principio sacro: l’amore per la natura.

Il soggetto di Nata libera è tratto dal romanzo autobiografico Born Free (1960) di Joy Adamson, edito in Italia come Nata libera: la straordinaria avventura della leonessa Elsa e best seller internazionale negli Anni ’60.

Nel 1956, i coniugi Joy e George Adamson vivono in Kenya, a quel tempo colonia britannica: Joy è una pittrice, George lavora come guardacaccia nel Northern Frontier District. Un giorno, George è inviato a sopprimere un leone che ha aggredito e ucciso una donna nei pressi di un villaggio. Dopo aver eliminato il leone, il guardacaccia è costretto a uccidere anche una leonessa che l’aveva improvvisamente assalito nell’estremo tentativo di difendere i propri cuccioli: quando George si accorge dei tre leoncini, nati solo da poche settimane, decide di adottarli e di allevarli insieme alla moglie.

Virginia McKenna e Bill Travers in Nata libera

Joy si affeziona particolarmente a Elsa, la più piccola della cucciolata. I piccoli crescono rapidamente e diventano presto ingestibili, tanto che i primi due (Lustica e Big One) vengono inviati allo zoo di Rotterdam: Joy, però, non vuole separarsi da Elsa e, d’accordo con George, decide di tenerla come un animale domestico. Col sopraggiungere dell’età adulta, per la leonessa iniziano i problemi: prima rischia di essere uccisa per sbaglio da un cacciatore durante un safari, poi provoca la fuga disordinata di un branco di elefanti che distrugge alcune coltivazioni suscitando l’ira dei locali.

Una scena di Nata libera

Il superiore di George impone ai coniugi di inviare Elsa presso uno zoo, ma Joy si oppone con forza, sostenendo che la leonessa debba vivere libera, essendo nata libera: nonostante Elsa sia ormai addomesticata e non più in grado di vivere nella natura selvaggia, Joy decide caparbiamente di tentare in pochi mesi un graduale reinserimento del felino nel suo habitat naturale.

«È nata libera e ha il diritto di vivere libera.»

(Joy Adamson)
Una scena di Nata libera

La sceneggiatura del film è opera di Lester Cole, scrittore statunitense inserito nella lista nera di Hollywood durante il maccartismo, la caccia alle streghe lanciata nei primi Anni ’50 dal senatore Joseph McCarthy contro persone sospettate di essere filocomuniste e sovversive. Accuse infondate e attacchi personali coinvolsero molte personalità di spicco della politica, della cultura e del mondo dello spettacolo. Cole e altri nove colleghi (i cosiddetti Hollywood Ten) si rifiutarono di testimoniare davanti alla Commissione per le attività antiamericane e furono pertanto ostracizzati dall’industria cinematografica.

Solo tre delle sue sceneggiature sono divenute film, ognuna firmata con un diverso pseudonimo: Nata libera è accreditato a Gerald L. C. Copley. Come in molti dei film sceneggiati dal più celebre collega Dalton Trumbo (Vacanze romane, Spartacus e Papillon, solo per citarne alcuni), nel soggetto su cui ha lavorato Cole alberga un ardente desiderio di libertà: quella stessa libertà che era stata loro ingiustamente preclusa.

Lester Cole (a destra) con il collega Ring Lardner Jr.

Nata libera conquistò i premi Oscar per la miglior colonna sonora (John Barry) e per la miglior canzone (Born Free, di John Barry e Don Black, cantata da Matt Monro). Quasi vent’anni dopo, il maestro John Barry avrebbe vinto la sua quarta statuetta per la struggente colonna sonora di un altro film legato all’Africa e al Kenya, ben più celebre del precedente: La mia Africa (Out of Africa, 1985), di Sydney Pollack, ispirato all’omonimo romanzo autobiografico di Karen Blixen e interpretato da Meryl Streep e Robert Redford, vincitore di 7 premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior fotografia, miglior scenografia, miglior sonoro e, appunto, miglior colonna sonora).

Meryl Streep (Karen Blixen) e Robert Redford (Denys Finch-Hatton) ne La mia Africa

Gli attori Bill Travers e Virginia McKenna, protagonisti del film Nata libera e coniugi anche nella vita, divennero intimi amici dei veri George e Joy Adamson. La realizzazione del film cambiò per sempre la vita dei due attori, che divennero attivisti per i diritti degli animali e continuarono nei decenni successivi a battersi per la protezione degli animali selvatici africani e per la salvaguardia del loro habitat naturale.

Bill Travers e Virginia McKenna in una scena di Nata libera

Travers e McKenna recitarono in un’altra pellicola per famiglie a sfondo animalista, An Elephant Called Slowly (1969), basato stavolta sulle reali avventure della coppia con tre giovani elefanti africani, in Kenya. Nel film compaiono il vero George Adamson e l’elefantina Pole Pole (Piano piano in swahili), donata allo zoo di Londra alla fine delle riprese. Quando nel 1982 la coppia andò a trovare l’elefantessa e vide in che condizioni viveva, iniziò una campagna per spostarla in un luogo più adatto, ma durante il trasferimento Pole Pole morì: la disgrazia spinse i coniugi a fondare nel 1984 l’organizzazione Zoo Check. Nello stesso anno, McKenna fu coinvolta nella protesta contro le cattive condizioni dello zoo di Southampton, che fu chiuso un anno dopo.

Nel 1991, la Zoo Check divenne la Born Free Foundation, un ente di beneficenza internazionale per la salvaguardia della fauna selvatica il cui attuale presidente esecutivo è Will Travers, figlio maggiore della coppia. Per i meriti artistici e l’impegno profuso nella salvaguardia degli animali e della natura, nel 2004 Virginia McKenna è stata nominata Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico.

Bill Travers e Virginia McKenna visitano l’elefantessa Pole Pole allo zoo di Londra (1982)

«Non torno a Londra se non ho abbattuto un elefante!»

Nata libera rappresenta una delle prime opere cinematografiche che affrontano il tema della salvaguardia della natura e, in uno stile ancora grezzo ma genuino, si rivolge a un pubblico di tutte le età.

Sono gli anni in cui viene fondato il WWF (1961), ancora oggi la più grande organizzazione internazionale non governativa per la protezione ambientale, e in cui si registrano decisivi passi in avanti nell’etologia, grazie alla diffusione degli studi di Konrad Lorenz sul comportamento animale: tutto ciò produce finalmente interesse e sensibilizzazione a livello globale, soprattutto riguardo a preservazione della biodiversità, sostenibilità nell’utilizzo delle risorse naturali e riduzione dell’inquinamento.

Jane Goodall

Nel 1960, in Tanzania, l’etologa inglese Jane Goodall inizia le sue ricerche sulla vita sociale e familiare degli scimpanzé. Tempo dopo, in Ruanda, la zoologa statunitense Dian Fossey avrebbe seguito il suo esempio dedicandosi all’osservazione e allo studio dei gorilla: la sua vita è immortalata in Gorilla nella nebbia (Gorillas in the Mist, 1988) di Michael Apted, in cui la Fossey è interpretata da una straordinaria Sigourney Weaver.

Dian Fossey

Nata libera è allo stesso tempo una testimonianza intatta di quanto l’essere umano stesse iniziando solo allora a sviluppare una reale consapevolezza riguardo a determinati concetti etici: un leone considerato pericoloso per una comunità che viene abbattuto senza remore, un turista che durante un safari afferma che “non tornerà a Londra se non avrà abbattuto un elefante”.

A conferma di ciò, solo pochi anni prima era stato prodotto Hatari!, avventuroso film del grande Howard Hawks interpretato tra gli altri da John Wayne, Elsa Martinelli, Hardy Krüger e Bruce Cabot: i protagonisti sono una squadra di cacciatori professionisti che, in Tanzania, si occupa della cattura di animali esotici della savana, destinati alla vendita all’estero presso zoo e riserve naturali.

Elsa Martinelli in una scena di Hatari!

Il film, ritenuto da molti un capolavoro, è conosciuto anche per la celebre scena del bagno degli elefantini sulle note di Baby Elephant Walk, uno dei motivi composti da Henry Mancini per la colonna sonora.

«Era la storia di un gruppo di persone che catturavano animali, e non avevo intenzione di metterci altro.»

(Howard Hawks)

Molto popolare soprattutto tra i più piccoli, grazie alla presenza di molti animali esotici, la pellicola aveva avuto un ottimo riscontro dalla critica internazionale, affascinata dal suo carattere utopico e dall’armonia tra le sensazionali scene di cattura degli animali e le sequenze ambientate al campo, in cui le vicende personali dei protagonisti vengono narrate con garbo e ironia. Il film ha un tono quasi fiabesco: un mondo fuori dal tempo in cui i protagonisti vivono in armonia e complicità con tanti animali selvaggi.

John Wayne in Hatari!

Secondo Todd McCarthy, biografo di Howard Hawks, Hatari! è addirittura il più geniale film del mondo: inizia come film d’avventura, si trasforma in film d’amore, termina come film per bambini.

Visto oggi, Hatari! non può non risultare eticamente ambiguo. Nelle riprese di caccia furono utilizzati sempre animali vivi, liberi e selvaggi: inseguirli e catturarli, anche per poi liberarli, sarebbe oggi assolutamente vietato e severamente punito, per lo stress causato e le possibili conseguenze sulla salute degli animali, in particolare per le specie protette o in via di estinzione.

John Wayne in Hatari!

Tale leggerezza su una questione così delicata non può tuttavia sorprendere: il safari a scopo venatorio, infatti, è attualmente consentito in quasi tutti i Paesi sub-sahariani tranne che in Kenya, nel cui territorio la caccia è vietata fin dal 1977. In molte riserve di caccia statali e terreni privati è ancora legale abbattere animali protetti come leoni, elefanti e rinoceronti previo pagamento, nella maggior parte dei casi appannaggio di personaggi facoltosi senza scrupoli.

Eppure, oggi sappiamo che perfino un affascinante safari fotografico in riserve e parchi nazionali, all’apparenza innocuo, può avere un impatto negativo sull’ambiente: la presenza di turisti può infatti disturbare le attività da cui dipende la sopravvivenza degli animali (l’efficienza di caccia dei leoni nelle aree più frequentate da turisti è molto inferiore, spesso appena sufficiente al sostentamento; ancora maggiore è il danno ai predatori prevalentemente diurni come il ghepardo). L’unico contributo positivo del turismo all’ambiente è di tipo indiretto: spesso i governi locali hanno difficoltà a sorvegliare territori così vasti e la presenza di turisti può aiutare a controllare e, in certi casi, a scoraggiare il bracconaggio.

La cattura di una giraffa in una scena di Hatari!

Elsa, George e Joy Adamson

Il successo del romanzo Born Free convinse Joy Adamson a pubblicare due sequel: Living Free (1961) e Forever Free (1963). Prima dell’uscita del film Nata libera, il naturalista Sir David Attenborough aveva già realizzato per la BBC un documentario sulla leonessa Elsa: Elsa the Lioness (1961). La storia di Elsa e degli Adamson ha ispirato numerosi altri documentari, un sequel (Living Free, 1972), una serie televisiva (Nata libera, 1974), un film TV (Born Free: A New Adventure, 1996) e il film To Walk with Lions di Carl Schultz (1999) con Richard Harris, Honor Blackman, Ian Bannen e Geraldine Chaplin, sugli ultimi anni di vita di George Adamson.

La leonessa Elsa con Joy Adamson

Elsa fu la prima leonessa a essere rimessa con successo in libertà, la prima a stabilire un contatto e ad avere una cucciolata dopo essere stata messa in libertà. Morì nel 1961 di babesiosi, una malattia infettiva provocata dal morso di zecca. I suoi cuccioli divennero presto una minaccia per il bestiame dei locali e, per la loro sicurezza, furono trasferiti dagli Adamson nel Parco nazionale del Serengeti, in Tanzania.

Nello stesso anno, George Adamson andò in pensione come guardacaccia per potersi dedicare completamente all’attività di naturalista e agli studi sui leoni: Baba ya Simba (Il padre dei leoni in swahili) fece da capo consulente tecnico per il film Nata libera ed è oggi considerato uno dei padri fondatori della conservazione della fauna selvatica.

George Adamson

«Chi si prenderà cura degli animali, per quelli che non sono autosufficienti?
Ci sono giovani uomini e giovani donne disposti ad assumere questo incarico?
Chi farà sentire la sua voce, quando la mia sarà stata portata via dal vento, chi aiuterà la causa?»

(George Adamson)

In seguito, i diversi interessi portarono George e Joy a separarsi, pur rimanendo in buoni rapporti: George continuò a occuparsi dei leoni, mentre Joy decise di dedicarsi ai ghepardi. Joy passò gli anni successivi a raccogliere fondi per la fauna selvatica, grazie anche al successo del libro e del film, e riuscì a rimettere in libertà un ghepardo e un leopardo.

Joy Adamson

Il leone Christian

Nel 1969, John Rendall e Anthony Bourke, due amici australiani che lavoravano in un negozio di mobili a Londra, acquistarono un cucciolo di leone maschio, Christian, nel reparto animali esotici del grande magazzino londinese Harrods, preoccupati per le sue condizioni e per il suo destino: il cucciolo era stato separato dai suoi genitori a causa della vendita dello zoo di Ilfracombe, in Inghilterra, in cui vivevano. Christian venne allevato nel seminterrato del negozio e il vicario locale permise ai due ragazzi di lasciarlo libero per qualche ora al giorno sul prato del cimitero adiacente. Destino volle che l’anno dopo, quando il cucciolo aveva ormai raggiunto una grande stazza, gli attori Bill Travers e Virginia McKenna si recassero proprio in quel negozio per acquistare una scrivania. McKenna raccontò loro la storia della leonessa Elsa e li mise in contatto con George Adamson, per tentare anche con Christian una reintroduzione alla vita selvaggia in Africa.

Virginia McKenna e Bill Travers con John Rendall, Anthony Bourke e il leone Christian

I due ragazzi accettarono la proposta e nel corso dell’anno organizzarono la spedizione in Kenya per Christian, avvertiti comunque da Adamson che la sua reintroduzione sarebbe stata molto più difficile di quella di Elsa e che probabilmente l’esperimento sarebbe fallito: Elsa, infatti, era nata in Kenya e quindi era sempre vissuta nel suo habitat naturale, anche se domestico, mentre Christian aveva vissuto sempre in città, i suoi stessi genitori erano nati in cattività e non era quindi abituato neanche al clima africano.

John Rendall, Anthony Bourke e il leone Christian

Adamson volle tentare la reintegrazione del leone in una colonia già esistente. Data la difficoltà di integrare un maschio in una comunità con un capobranco già attribuito, decise di aiutarsi con un altro leone maschio addomesticato di nome Boy, che aveva preso parte al film Nata libera. Adamson intendeva stabilire un legame tra i due che li rendesse i leader di un nuovo nucleo. Nonostante gli iniziali screzi, l’esperimento riuscì perfettamente e i due leoni divennero inseparabili. Il secondo passo fu l’affiancamento di una femmina, di nome Katania, per provare a estendere la nuova colonia.

Da questo momento, iniziò una serie di tragedie che misero a serio rischio la riuscita del progetto: Katania venne attaccata da un coccodrillo in prossimità di una pozza d’acqua e un’altra femmina venne uccisa da un altro branco di leoni. Stanley, uno chef della riserva allontanatosi dal campo alla ricerca di miele selvatico senza misure di sicurezza, fu attaccato da Boy, che si trovava libero nelle vicinanze: Adamson, accorso in aiuto, fu costretto a sparare all’amato leone, uccidendolo, ma non fece in tempo a salvare l’uomo, che morì per le ferite riportate.

Il clamore della tragedia sembrò segnare la fine del progetto, ma Adamson non si scoraggiò e, grazie all’aiuto di altri naturalisti riuscì finalmente a raggiungere lo scopo: Christian aveva preso possesso di una colonia di cui era divenuto il leader, aveva avuto dei cuccioli con due femmine e, dopo la sua reintegrazione nella natura, si avvicinava raramente al campo e agli uomini.

Appresa la notizia, Rendall e Bourke decisero di intraprendere un ultimo viaggio in Kenya per poter osservare di persona la reintegrazione del leone e per tentare di salutarlo un’ultima volta. Adamson li avvertì che il loro viaggio sarebbe stato probabilmente inutile, poiché Christian non si faceva vedere da almeno nove mesi, ma i due decisero ugualmente di partire.

Arrivati alla riserva, Adamson andò loro incontro con una novità: la notte prima, Christian era tornato nelle vicinanze del campo con le sue compagne e i suoi cuccioli.

«Christian è arrivato ieri sera.
È qui con le sue leonesse e i loro cuccioli.
È appostato sulla sua roccia preferita al di fuori del campo.
Vi sta aspettando.»

(George Adamson)

George e Joy Adamson avevano spesso parlato nei loro scritti di una sorta di sesto senso dei leoni, soprattutto nei confronti degli esseri umani, definendo ciò come una sorta di capacità telepatica.

Rendall e Bourke furono avvertiti del fatto che il leone avrebbe potuto non riconoscerli e, conseguentemente, attaccarli: i due, però, non si persero d’animo e vollero comunque incontrarlo. Ciò che avvenne fu talmente incredibile da stupire perfino Adamson: a distanza di tanto tempo, Christian non solo riconobbe immediatamente i due ragazzi, ma gli corse incontro come se non si fosse mai allontanato da loro buttandogli le zampe intorno al collo in una sorta di abbraccio. Il commovente filmato dell’incontro, condiviso su internet trent’anni dopo, è diventato virale.

La storia di Christian è stata raccontata in un libro (scritto da Rendall e Bourke) e in un documentario (Christian, The Lion at World’s End), e ha ispirato un libro per bambini (Christian, the Hugging Lion).

Il leone Christian

«L’animale più pericoloso è l’uomo»

Il 3 gennaio 1980, poche settimane prima di compiere 70 anni, Joy Adamson fu trovata morta nella Shaba National Reserve, in Kenya, uccisa da un suo ex dipendente. Nove anni dopo, il 20 agosto 1989, George Adamson fu assassinato nel Parco Nazionale di Kora, in Kenya, nel salvare il suo assistente e un turista europeo da un gruppo di banditi somali: aveva 83 anni.

Sia Joy che George vollero farsi seppellire con i loro adorati leoni, in Kenya: Joy fu sepolta con la leonessa Elsa nel Meru National Park, mentre George coi leoni Boy, Super Cub e Mugie nel Kora National Park.

George Adamson

Nei suoi scritti, George aveva sempre ribadito che l’animale più pericoloso al mondo è l’uomo e che il leone non è solo un predatore, ma un essere vivente capace di sviluppare una varietà di comportamenti.

Le esperienze e gli studi di George e Joy Adamson sono stati fonte di ispirazione per tanti altri naturalisti e hanno dato un contributo essenziale nell’interazione con un mondo fino ad allora quasi sconosciuto e considerato solo selvaggio.

Joy e George Adamson

Sciarada (Stanley Donen, 1963)

Sciarada (Charade) è un film del 1963 diretto da Stanley Donen con protagonisti Cary Grant e Audrey Hepburn.

Regina Lampert (Audrey Hepburn) è un’americana che vive a Parigi. Il marito Charles, misterioso avventuriero, viene assassinato su un treno mentre sta fuggendo con l’equivalente di 250.000 $. Da quel momento Regina, che non era al corrente dei loschi affari del marito e che non ha idea di dove si trovino i soldi, viene tampinata da Tex, Scobie e Gideon (James Coburn, George Kennedy e Ned Glass), tre torvi individui che sostengono di essere i proprietari del denaro e che ne pretendono la restituzione. I tre non sono gli unici interessati al cospicuo gruzzolo: Hamilton Bartholomew (Walter Matthau), funzionario della CIA, svela a Regina i retroscena relativi al denaro reclamandone la consegna poiché di proprietà del governo statunitense. Un affascinante uomo di mezza età conosciuto in vacanza, Peter Joshua (Cary Grant), si offre di aiutare Regina a trovare il denaro. È qui che ha inizio il rompicapo che dà il titolo al film: per nascondere ogni traccia, Charles aveva utilizzato il contante per acquistare qualcosa dal valore consistente e duraturo, qualcosa che non desse nell’occhio…

Cary Grant e Audrey Hepburn in Sciarada (1963)

La performance di un cast straordinario, l’intesa perfetta della coppia Grant-Hepburn, la superlativa sceneggiatura, l’esemplare regia di Stanley Donen, le ammalianti ambientazioni parigine e le coinvolgenti musiche di Henry Mancini rendono questo film una vera gemma nella moltitudine di opere coeve ben più incensate e reclamizzate.

Sciarada appartiene a un genere che non esiste più, il giallo-rosa, che univa la suspence del thriller al brio della commedia e al romanticismo del genere sentimentale: il film, infatti, si divide equamente tra una commedia sofisticata statunitense (screwball comedy) degli Anni ’30 e Intrigo internazionale (North by Northwest, 1959) di Alfred Hitchcock, che vede protagonista lo stesso Cary Grant. Non a caso, la pellicola è stata definita “il miglior film di Hitchcock che Hitchcock non ha mai realizzato”. Secondo il critico Chris Cabin, la struttura del film richiama il best seller di Agatha Christie Dieci piccoli indiani.

Cary Grant in Intrigo internazionale (1959)

La screwball comedy ha dominato il panorama cinematografico statunitense nel decennio 1935-45, sopravvivendo fino agli Anni ’60: era solitamente incentrata sulla guerra dei sessi e sull’incontro/scontro fra personaggi che, superata un’iniziale repulsione, finiscono con l’innamorarsi dopo una serie di imprevedibili eventi, talvolta con scambi di persona.

Il genere entrò ufficialmente in scena nel 1934 con Accadde una notte di Frank Capra, primo film a vincere i Premi Oscar nelle cinque categorie principali (miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura non originale), in un contesto storico molto particolare: lo spirito ottimista, i ritmi frenetici e la disinvoltura dei costumi promossi dal New Deal del presidente Roosevelt e la rigida censura imposta al cinema dal Codice Hays diedero vita a un nuovo genere di commedia, caratterizzata da dialoghi incalzanti, sferzanti allusioni e raffinato umorismo.

Clark Gable e Claudette Colbert in Accadde una notte (1934)

I critici Andrew Sarris ed Enrico Giacovelli definiscono le screwball comedies rispettivamente come sex comedies without the sex e commedie del desiderio. Frank Capra, George Cukor e Howard Hawks sono solo alcuni dei grandi registi che esaltarono questo genere cinematografico. Tra gli interpreti brillavano star come Katharine Hepburn, Clark Gable e James Stewart, ma l’indiscusso re della commedia sofisticata fu proprio lui: Cary Grant.

Cary Grant

Cary Grant è stato uno degli attori più brillanti e affascinanti della storia del cinema. Inglese di nascita ma trasferitosi giovanissimo negli Stati Uniti, era dotato di una naturale e raffinata eleganza, una notevole prestanza fisica e un sottile senso dell’ironia. Ha recitato pressoché in ogni genere di film, dalle commedie brillanti alle pellicole sentimentali e drammatiche, fino ai thriller di Alfred Hitchcock, di cui è stato dichiaratamente l’attore preferito.

Sciarada fu l’unica occasione per Grant di lavorare con Audrey Hepburn, avendo anni prima rifiutato di recitare in Vacanze romane (1953) e Sabrina (1954). Grant, che compì 59 anni durante le riprese, si sentiva piuttosto a disagio riguardo al proprio ruolo: il copione prevedeva infatti una storia d’amore tra lui e la Hepburn e la differenza di età tra i due divi era considerevole (all’epoca la Hepburn aveva 33 anni). La produzione gli venne allora incontro aggiungendo alcune battute in cui il suo personaggio fa riferimento alla propria età e rappresentando la Hepburn come inseguitrice nella relazione.

Cary Grant e Audrey Hepburn in Sciarada

Nonostante le iniziali remore, la chimica tra i due attori si rivelò eccezionale e fu senza dubbio uno dei motivi di maggior successo del film. A testimonianza di ciò, l’anno successivo Grant dichiarò: “L’unico regalo che desidero per Natale è un altro film con Audrey Hepburn!”

Audrey Hepburn in Sciarada

Audrey Hepburn era all’apice della carriera, reduce dal successo di Colazione da Tiffany (1961). La sua bellezza e la sua eleganza in questo film sono davvero impareggiabili. Non è più una timida giovinetta che inizia a scoprire il mondo, come la principessa Anna in Vacanze romane o Sabrina nell’omonimo film, né una ragazza spregiudicata in costante conflitto con se stessa che si rifiuta di crescere, come la Holly Golightly di Colazione da Tiffany: è una donna che irradia una bellezza consapevole e smaliziata.

Audrey Hepburn in Sciarada

Nel gioco delle parti, la Hepburn si esalta in un’interpretazione elegantemente tesa, in contrapposizione al classico Grant sornione e charmant. I costumi di Givenchy, che si adattano ai suoi ruoli come se l’attrice fosse sempre tutt’uno con il personaggio che interpreta, raggiungono in questo film un’eleganza sublime.

Audrey Hepburn in Sciarada

Fu uno degli ultimi ruoli significativi nella carriera di Cary Grant, così come per due iconici caratteristi presenti nel film: Ned Glass (Leopold W. Gideon) e Jacques Marin (l’ispettore Grandpierre), attore francese e storica spalla di Jean Gabin, che avrebbe ritrovato la Hepburn in Come rubare un milione di dollari e vivere felici (1966).

Ned Glass (a sinistra con James Coburn) e Jacques Marin in Sciarada

I personaggi secondari sono un notevole punto di forza del film. Sciarada fece da definitivo trampolino di lancio per un trittico di futuri premi Oscar: Walter Matthau, James Coburn e George Kennedy. Non ancora celebre per il fortunato sodalizio con Jack Lemmon, Walter Matthau interpreta brillantemente un ruolo camaleontico in sordina, in netta contrapposizione con la ricercata sfacciataggine del protagonista maschile, Cary Grant. James Coburn, che aveva già recitato piccole ma rilevanti parti ne I magnifici sette (1960) e La grande fuga (1963), interpreta un cattivo dall’acume sottile e dall’espressione mefistofelica. George Kennedy, al primo ruolo importante in carriera, arricchisce la pellicola di comica brutalità.

Walter Matthau, James Coburn e George Kennedy in Sciarada

Sciarada è un meccanismo perfetto, coinvolgente fin dalla prima scena e scandito da tempi e ritmi che ricordano il musical. Il merito è soprattutto del regista Stanley Donen, ex ballerino e coreografo, esperto cineasta di celeberrimi film musicali, tra cui: Cantando sotto la pioggia (1952), co-diretto insieme a Gene Kelly, Sette spose per sette fratelli (1954) e Cenerentola a Parigi (1957), nel quale aveva già diretto la Hepburn.

Stanley Donen

E la location? Parigi nei film non è mai solo scenografia, è uno dei personaggi. I mercati generali di Les Halles, i Bateaux Mouches, il Lungosenna, Notre-Dame, i Jardins des Champs-Élyseés, il Palais Royale, la Comédie-Française: ognuno di questi luoghi resta indissolubilmente legato alla scena che ospita nel film.

Notre-Dame, il Bateau Mouche e il Palais Royale

Le atmosfere romantiche sembrano dominare tutto il resto e lo spettatore si lascia cullare nel loro fascino in tante memorabili sequenze. C’è però anche un’altra Parigi in Sciarada: misteriosa, nebbiosa, di una tranquillità sfarzosa ma in realtà solo apparente. Una città dall’aspetto tanto regale che al tempo stesso riesce ad essere così inquietante e minacciosa: nessun’altra ambientazione avrebbe raggiunto lo stesso effetto.

Ma cosa sono le immagini senza la musica? Henry Mancini compose le musiche di Sciarada nel suo periodo migliore, al culmine del successo: già pluripremiato agli Oscar per Colazione da Tiffany (1961) e I giorni del vino e delle rose (1962) e prima di comporre il celebre tema della Pantera Rosa per l’omonimo film (1964), Sciarada gli consentì di rinsaldare il suo sodalizio con la Hepburn. Nella colonna sonora del film, musica classica e jazz si fondono alla perfezione, ricreando le atmosfere sognanti e i ritmi incalzanti tipici del suo inconfondibile stile.

Henry Mancini

Una curiosità: gli ipnotici titoli di testa sono opera di Maurice Binder, disegnatore statunitense ideatore della cosiddetta gun barrel sequence (sequenza della canna di pistola), tema di apertura ricorrente nei film di James Bond.

La celebre gun barrel sequence