I soggetti di Pippo Fava

Dagli esordi come giornalista sportivo fino alle esperienze con il Giornale del Sud e la rivista I Siciliani, Pippo Fava è stato uno strenuo sostenitore del ruolo della stampa nel contrasto alla criminalità per “realizzare giustizia e difendere la libertà”. I suoi articoli e le sue inchieste lo hanno reso un’icona della lotta alla mafia.

Pippo Fava

Meno noto è, invece, il suo legame con il cinema e il teatro: la scrittura di soggetti e sceneggiature ha rappresentato un’altra strada per descrivere la condizione umana, il degrado e l’abbandono nella sua terra d’origine, le circostanze che hanno consentito alla mafia di proliferare, di prendersi tutto.

Due lavori su tutti, in particolare, sono diventati film: La violenza, dramma teatrale che ha ispirato La violenza: quinto potere (1972) di Florestano Vancini, e Passione di Michele, romanzo da cui è stato tratto il film Palermo o Wolfsburg (1980) di Werner Schroeter, Orso d’oro al Festival di Berlino (ex aequo con lo statunitense Heartland di Richard Pearce), alla cui sceneggiatura ha contribuito lo stesso Fava. 

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La violenza: quinto potere (Florestano Vancini, 1972)

Enrico Maria Salerno e Ciccio Ingrassia

In Sicilia, il progetto per la costruzione di una diga scatena una sanguinosa faida tra due cosche mafiose, facenti capo una al costruttore e l’altra al latifondista che non intende far distruggere i propri agrumeti.

Gli efferati delitti tra fazioni rivali coinvolgono presto poliziotti, politici, testimoni involontari e semplici passanti. Il processo, che vedrà imputati da entrambe le parti, farà emergere tutta l’impotenza dello Stato e della Giustizia nel trovare i reali colpevoli, la subdola e corrosiva ambiguità di avvocati difensori e politici collusi che negano il fenomeno mafioso, l’insanabile disperazione dei parenti delle vittime, il crudele destino riservato ai miserabili capri espiatori designati.

Il film ha un cast d’eccezione: Enrico Maria Salerno, Gastone Moschin, Riccardo Cucciolla, Aldo Giuffré, Mario Adorf, Mariangela Melato e Ciccio Ingrassia, qui in un’insolita e intensa veste drammatica.

Nel panorama dei film sulla mafia, spesso accusati di luoghi comuni, La violenza: quinto potere non concede ambiguità: è la sbarra stessa a determinare il suo manicheismo, che arriva crudo, intatto e cristallino allo spettatore.

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Palermo o Wolfsburg (Werner Schroeter, 1980)

Nicola Zarbo

A metà degli Anni ’70, un ragazzo siciliano originario di Palma di Montechiaro, comune in provincia di Agrigento, decide di trasferirsi a Wolfsburg, in Germania Ovest, per lavorare come operaio alla Volkswagen.

Qui si confronta con il disagio di vivere in un luogo così diverso dalla propria terra, con il contesto lavorativo alienante della fabbrica, con l’isolamento linguistico, con il feroce e cieco pregiudizio xenofobo. L’ingiustizia sociale culminerà in un gesto estremo, un raptus assassino: il tentativo disperato di un riscatto nella sua ricerca di dignità.

Come in altre sue opere, Fava pone l’accento sulla frustrante contraddizione di un territorio di inestimabile bellezza schiacciato dalla maledizione del degrado, dove i bambini muoiono ma rappresentano l’unica ricchezza e i giovani sono costretti a emigrare in cerca di lavoro: nella miseria di casa sua il protagonista era felice, mentre la Germania delle opportunità trasformerà la sua vita in un incubo.

Il romanzo Passione di Michele, da cui è tratto il film, nasce dall’incontro nel 1978 tra Fava e il regista tedesco Werner Schroeter, in Italia per girare il film Nel regno di Napoli. Insieme a Herzog, Fassbinder, Wenders e Schlöndorff, Schroeter è considerato uno dei promotori del Nuovo cinema tedesco e uno dei più importanti registi del cinema tedesco del Secondo dopoguerra.

Werner Schroeter

Oltre che a Berlino, il film è stato proiettato a Chicago, Lisbona, Salonicco, ma paradossalmente non è stato distribuito in Italia, dove è tuttora pressoché sconosciuto.

Non è un film semplice, né un film leggero. Un’opera espressionista e neorealista (un esempio su tutti: Nicola Zarbo, attore non professionista che dà il proprio nome al protagonista), della durata di quasi 3 ore, in cui l’incomunicabilità tra i personaggi viene resa mediante una Babele di lingue diverse che non sono mai la nostra. Non è per tutti e non nasce per piacere: nasce per far conoscere, per sensibilizzare. Un film che disturba e commuove nella sua amara denuncia sociale, poetico nel descrivere sottovoce l’attaccamento alla bellezza della terra natia e la nostalgia della propria casa. 

Il paese di Palma di Montechiaro viene citato più volte nelle opere di Fava, in particolare in Processo alla Sicilia e Mafia, come uno dei luoghi in cui “la tragedia meridionale -che secondo Fava nasce dalla concomitanza di miseria, ignoranza e assenza dello Stato- raggiunge una negativa perfezione”: mortalità infantile, povertà endemica e i pochi soldi spediti dai familiari emigrati come unica fonte di reddito della popolazione. Ma gli stessi luoghi della miseria un tempo sono stati usati per rappresentare la ricca aristocrazia: la Donnafugata del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nella realtà non è il Castello di Donnafugata in provincia di Ragusa, ma è proprio Palma di Montechiaro, luogo caro all’autore che vi ha trascorso l’infanzia.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Il Gattopardo

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Pippo Fava è stato ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984.

A decretare la sua condanna a morte, probabilmente, l’articolo I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa: un’inchiesta-denuncia sui rapporti tra imprenditori e mafiosi catanesi pubblicata su I Siciliani.

Come ci dice Riccardo Orioles, giornalista e suo storico collaboratore: “Lui sapeva descrivere come nessun altro al mondo, puntava la luce sulla normalità. Uno così non si poteva lasciare vivere.”

L’ultima intervista (I parte, II parte), rilasciata a Enzo Biagi pochi giorni prima di essere assassinato, riesce a dare un’idea di chi fosse Pippo Fava.

Le sue ultime battaglie sono raccontate nel film TV Prima che la notte (2018) di Daniele Vicari, in cui Fava è interpretato da un magistrale Fabrizio Gifuni. 

Fabrizio Gifuni/Pippo Fava in Prima che la notte (2018)

La storia di Pippo Fava ricorda tanto quelle del conterraneo Peppino Impastato, degli “stranieri in terra straniera” Mauro De Mauro e Mauro Rostagno, del napoletano Giancarlo Siani: intellettuali, scrittori, giornalisti che hanno pagato con la vita il rifiuto di sottostare in silenzio alla soffocante morsa della malavita organizzata, denunciandone i soprusi e raccontando la verità, con la speranza di rendere migliore il posto in cui vivevano.